martedì 9 maggio 2017

Di padre in figlia

Martedì scorso è andata in onda su RAIUNO l’ultima puntata della fiction TV “Di padre in figlia”, protagonisti Alessio Boni, Cristiana Capotondi e Stefania Rocca.

La fiction, ambientata a Bassano del Grappa, racconta le vicende della famiglia Franza, composta dal padre, Giovanni, proprietario di una promettente distilleria, dalla moglie Franca, casalinga, tre figlie femmine e un maschio.

Il capofamiglia, Giovanni Franza, è un uomo dispotico: sbraita, urla, crea terrore in casa, tradisce la moglie alla luce del sole e non di rado minaccia di picchiare i componenti della famiglia.

I problemi iniziano quando i figli, in particolar modo le femmine, manifestano desiderio di autonomia in un’Italia che sta vivendo gli enormi cambiamenti degli anni '60 e '70. 
La primogenita Maria Teresa (Cristiana Capotondi), appassionata di chimica, vorrebbe fin da piccola seguire le impronte paterne, opzione fuori discussione per Giovanni che non concepisce l’idea di vedere una femmina a capo della sua attività.

Quella della famiglia Franza non era una situazione atipica nel dopoguerra e negli anni a venire, anzi, era, si può dire, la normalità, non soltanto nel sud dell’Italia, ma in tutte le zone rurali del nord e del centro, Veneto compreso. Di uomini come Giovanni Franza ce n'erano a frotte: parliamo dei miei nonni, dei nostri nonni.

Erano forse uomini cattivi? Certo che no!

Peccavano di essere figli di un retaggio culturale che vedeva la donna come creatura frivola e incomprensibile, capace di sfornare prole, ma con un cervello pressoché inutile. Le donne erano considerate pettegole, chiacchierone: “ma cosa vuoi che capisca una donna!”, spendaccione: “per carità, tienile lontane dal portafoglio!”, autorizzate a essere brave mamme, ma ben lungi dall’essere amiche e complici del marito: “mai dire le cose alle donne! Mai!”. Lo stesso atto sessuale, in molti casi, veniva vissuto come atto di piacere per il maschio e come dovere a fini riproduttivi per la donna.

Questi uomini nella maggior parte dei casi sono diventati dei nonni amorevoli che scuotono la testa nel vedere le loro nipoti con l’ombelico di fuori e che, rassegnati, dicono fra sé e sé “... i tempi sono cambiati, si sa...”.

A volte però, come nel caso del protagonista della fiction, uomini di questo tipo rimangono schiacciati dal peso delle loro stesse azioni. Giovanni viene abbandonato dalle figlie, tradito e lasciato dalla moglie e, disgrazia inaccettabile, il figlio di suicida incapace di essere all’altezza delle aspettative paterne. Alla soglia dei 60, Giovanni è un uomo ricco, ma solo e disperato che non riesce nemmeno a capire di essere la causa prima della propria infelicità e di quella delle persone a lui più care.

Anche Giovanni, in fondo, è vittima del sistema.

Negli anni a seguire la famiglia si riunisce, seppure portando nel cuore il peso del suicidio di un componente, un dolore inaccettabile, specialmente se la causa non è mancanza di amore, ma una convenzione sociale che vede il maschio come padrone della moglie e dei figli, visione, che a quanto pare, lascia dietro di sé soltanto solitudine e dolore.

Nessun commento:

Posta un commento

Cosa ne pensi di questo intervento?